lunedì 10 novembre 2014

Forse le lucciole non si amano più (cit.)

Sento mia questa nuova, raccolta, realtà. Ed è forse stato necessario saltare da un minuscolo paese ad una grande città per capire che la giusta dimensione, per me, sta nella via di mezzo. E' questa una città che regala molte realtà senza toglierti di dosso l'umana sopportazione del vivere. Le distanze che si accorciano, i luoghi che, riproponendosi, diventano quotidianità. Come piace a me. Ognuno, alla fine, deve trovare la sua dimensione. Tra le varie “comodità” ci sono le sale cinema, alcune delle quali, molto vicine casa mia. Non di rado, quindi, ci si concede un film. La scorsa settimana proiettavano “La storia della principessa splendente” del maestro Takahata e incuriosita sono andata a vederlo... amo questo genere d'animazione, ma sono probabilmente assuefatta dal grande Miyazaki e ora, a distanza di giorni (devo pensarci sempre un po su), posso definirla una bella favola, niente di più. Ma non è del film che voglio parlare, è di una scena quasi surreale che si è venuta a creare in sala a metà proiezione. Diciamo che già dal principio avevo percepito di essere tra un “pubblico” alquanto particolare e la mia perspicacia mi aveva avvertito che non sarebbero state due ore tranquille. Avevo affianco a me una signora che accompagnava una ragazza con problemi psichici molto evidenti che sin dai primi minuti di pellicola indicava lo schermo facendo versi molto simili a miagolii. Fin qui, tutto normale, di fronte a determinati problemi non devono esistere intolleranze o fastidi di alcun genere. Ed infatti la ragazza, a mio avviso, era la più sana della sala. Davanti a me un gruppo di tre uomini (sembravano ben addentrati in quel genere di filmografia) ridevano a pieno petto alle scene più drammatiche e profonde. Tanto che ho cominciato a chiedere a me stessa se non mi stesse sfuggendo il senso del film. Lateralmente sulla mia sinistra, qualche fila più su, un uomo di mezza età ripeteva a gran voce le frasi più significative della principessa splendente. Non so se siete mai capitati in una di quelle scene dove voi siete nel mezzo e tutto diventa così paradossale e assurdo che tutto, ma dico proprio tutto, perde il suo senso logico e lineare. A metà film la signora che è affianco a me tira fuori il suo cellulare (in modalità silenziosa) dalla borsa e attiva il display luminoso, lo avesse mai fatto... il tipo “pappagallo” qualche fila più su ha cominciato ad urlare (urlare vuol dire urlare) “spegnere i cellulari!” “spegnere i cellulari!” “spegnere i cellulari!”... sicché la tipa affianco a me si è sentita leggermente chiamata in causa e gli ha urlato di risposta “è silenzioso! Si faccia i cazzi suoi!”. Da lì la situazione è degenerata ad una velocità supersonica, la gente “normale” in sala ha cominciato a coreggiare “schhhhhhhhhh....schhhhhhhh...schhhhhh”. Io non me la sono sentita, pur volendo non sarei riuscita a proferire alcun suono tanto ero allucinata. Inconsapevole per giunta che il belo stava proprio per arrivare... uno dei tre uomini seduti davanti a me si alza in piedi, ha le mani poggiate sui fianchi e fissando l'intero pubblico (tanto per non sbagliarsi suppongo) urla a gran voce: “la finite o vi devo spaccare la faccia a tutti?!”. Io mi sono appiattita sulla mia poltrona come mai avevo fatto nemmeno nel banco di scuola quando iniziavano le interrogazioni. Per un attimo ho anche meditato di mollare la sala e rinunciare all'altra metà del film. Ma poi ho pensato che non volevo rinunciarci e mi è salita una rabbia feroce, ero al cinema perché volevo “staccare” un po il cervello dalla vita reale, perché volevo “calarmi” in una favola che mi portasse da qualche altra parte. Ed invece no, lo spettacolo più bello (che vuol dire più brutto) me lo regala sempre il genere umano nella sua più profonda e squallida pochezza.
Ma dove si deve andare per sognare un po?!