Sento mia questa nuova, raccolta,
realtà. Ed è forse stato necessario saltare da un minuscolo paese
ad una grande città per capire che la giusta dimensione, per me, sta
nella via di mezzo. E' questa una città che regala molte realtà
senza toglierti di dosso l'umana sopportazione del vivere. Le
distanze che si accorciano, i luoghi che, riproponendosi, diventano
quotidianità. Come piace a me. Ognuno, alla fine, deve trovare la
sua dimensione. Tra le varie “comodità” ci sono le sale cinema,
alcune delle quali, molto vicine casa mia. Non di rado, quindi, ci si
concede un film. La scorsa settimana proiettavano “La storia della
principessa splendente” del maestro Takahata e incuriosita sono
andata a vederlo... amo questo genere d'animazione, ma sono
probabilmente assuefatta dal grande Miyazaki e ora, a distanza di
giorni (devo pensarci sempre un po su), posso definirla una bella
favola, niente di più. Ma non è del film che voglio parlare, è di
una scena quasi surreale che si è venuta a creare in sala a metà
proiezione. Diciamo che già dal principio avevo percepito di essere
tra un “pubblico” alquanto particolare e la mia perspicacia mi
aveva avvertito che non sarebbero state due ore tranquille. Avevo
affianco a me una signora che accompagnava una ragazza con problemi
psichici molto evidenti che sin dai primi minuti di pellicola
indicava lo schermo facendo versi molto simili a miagolii. Fin qui,
tutto normale, di fronte a determinati problemi non devono esistere
intolleranze o fastidi di alcun genere. Ed infatti la ragazza, a mio
avviso, era la più sana della sala. Davanti a me un gruppo di tre
uomini (sembravano ben addentrati in quel genere di filmografia)
ridevano a pieno petto alle scene più drammatiche e profonde. Tanto
che ho cominciato a chiedere a me stessa se non mi stesse sfuggendo
il senso del film. Lateralmente sulla mia sinistra, qualche fila più
su, un uomo di mezza età ripeteva a gran voce le frasi più
significative della principessa splendente. Non so se siete mai
capitati in una di quelle scene dove voi siete nel mezzo e tutto
diventa così paradossale e assurdo che tutto, ma dico proprio tutto,
perde il suo senso logico e lineare. A metà film la signora che è
affianco a me tira fuori il suo cellulare (in modalità silenziosa)
dalla borsa e attiva il display luminoso, lo avesse mai fatto... il
tipo “pappagallo” qualche fila più su ha cominciato ad urlare
(urlare vuol dire urlare) “spegnere i cellulari!” “spegnere i
cellulari!” “spegnere i cellulari!”... sicché la tipa affianco
a me si è sentita leggermente chiamata in causa e gli ha urlato di
risposta “è silenzioso! Si faccia i cazzi suoi!”. Da lì la
situazione è degenerata ad una velocità supersonica, la gente
“normale” in sala ha cominciato a coreggiare
“schhhhhhhhhh....schhhhhhhh...schhhhhh”. Io non me la sono
sentita, pur volendo non sarei riuscita a proferire alcun suono tanto
ero allucinata. Inconsapevole per giunta che il belo stava proprio
per arrivare... uno dei tre uomini seduti davanti a me si alza in
piedi, ha le mani poggiate sui fianchi e fissando l'intero pubblico
(tanto per non sbagliarsi suppongo) urla a gran voce: “la finite o
vi devo spaccare la faccia a tutti?!”. Io mi sono appiattita sulla
mia poltrona come mai avevo fatto nemmeno nel banco di scuola quando
iniziavano le interrogazioni. Per un attimo ho anche meditato di
mollare la sala e rinunciare all'altra metà del film. Ma poi ho
pensato che non volevo rinunciarci e mi è salita una rabbia feroce,
ero al cinema perché volevo “staccare” un po il cervello dalla
vita reale, perché volevo “calarmi” in una favola che mi
portasse da qualche altra parte. Ed invece no, lo spettacolo più
bello (che vuol dire più brutto) me lo regala sempre il genere umano
nella sua più profonda e squallida pochezza.
Ma dove si deve andare per sognare un po?!
Ma dove si deve andare per sognare un po?!