martedì 8 luglio 2014

L'ape regina

“L'ape regina”, così ti chiamò il maestro. A lui bastò un attimo per capire la tua essenza, a me probabilmente non è bastata una vita. Ma di te mi rimane la risata prepotente di chi ha tolto il freno a mano: si lotta dalla nascita e ci si sfinisce giorno dopo giorno, fino a deporre le armi, fino a farsi scivolare l'esistenza addosso. Non si vive, non si muore, ci si lascia trascinare dal turbinio del tempo e si ride, si ride come facevi tu. A bocca aperta, urlando in una risata tutto il dolore del mondo. Io, tu, mia madre. Io, tra te e mia madre. Voi legate da questo cordone invisibile creato dalla malattia, sfacciate e vive nei ricordi del collegio, nel dolore delle operazioni, nelle corse a quattro ruote delle corsie degli ospedali, nel fastidio insopportabile del bruciore dei busti e dei gessi. Infiniti step per tenersi dritte su due gambe, per far quello che ai molti è concesso per natura... per sfidarla questa natura. E niente gambe buone a questo giro per te, e niente genitori né parenti di alcun tipo... ma la mia famiglia, la mia minuscola, possente, famiglia è stata per te la conoscenza del calore e dell'affetto. Gli gnocchi di nonna la domenica (quante infinite ore ti abbiamo aspettato!), i compleanni (i tuoi regali assurdi), le vacanze al mare (il manto dei tuoi cani sotto le mie dita)... Tu imprigionata nelle tue gabbie ambulanti ti reggevi a mia madre che perdeva il suo precarissimo equilibrio, quante volte ci siamo lasciate andare inermi sul letto?! Noi tre, ognuna con le sue mancanze e i suoi vuoti incolmabili, ridevamo alla vita e ci stupivamo di come si potesse esser felici in infiniti modi. Nonostante tutto.
E' bastato sentire un Dario Fo invecchiato, ma ancora impeccabile, cantare “Ho visto un re” per pensarti...


venerdì 4 luglio 2014

- Le nuvole -

Al guardaroba. Solo al guardaroba.
E' così piccola che mi arriva a malapena alla spalla, alle sue ossa appartiene quella minuzia offesa, riconoscibile da ogni senso. A me sembra un fiore mai sbocciato, racchiude in se tutto lo splendore della natura, madre natura che rimarrà celata per un tempo infinito. Quello della malattia. Nei suoi gesti fieri riconosco l'importanza di avere un ruolo, un obiettivo da seguire, giorno per giorno... legge fumetti - “dodici pagine, sono stanca davvero! - , mangia merende - che immagino confezionate dalle mani di una madre con occhi umidi, protettiva, rassegnata - , ride di ciò che lei stessa dice - e capisce- e io tengo incollata la mia mano lungo il fianco per impedirle quella carezza fuori luogo. Probabilmente un bisogno solo mio, dettato da un egoismo travestito da compassione. E poi canta, canta canzoni che io non conosco - che forse inventa - che i molti non ascoltano, che alcuni non sopportano. Ed è un'unica, lunga, melodia che non ha inizio e non ha fine, è un'amica - forse la sola?! - che le tiene compagnia in quel posto labirintico che è il suo pensiero. Ogni volta come fosse la prima, ripeto a me stessa che non c'è nulla da capire, che quel che io percepisco come dolore, solitudine, impotenza, può esser un vivere quieto, sereno. Nelle infinite combinazioni noi andiamo, veniamo, ci mischiamo gli umori... come le nuvole di De Andrè - “per una vera, mille sono finte” - e rischi di “non riconoscere più il posto dove stai”.

- E chi sei -